Era già una sindrome nota, ma oggi la scienza ha aggiunto un nuovo tassello nell’analisi sui capelli ingestibili nei bambini: la responsabilità ricade sulla mutazione di tre geni.
La situazione è abbastanza frequente, al punto da essere definita “guerra”: difficoltà a dare forma alla chioma, impossibilità a domare i ciuffi, sensazione di rabbia crescente all’aumento di questa ingestibilità. Ancora peggio, poi, è quando le “vittime” sono i bambini, che piagnucolano a ogni tentativo di spazzolata mentre l’orologio corre e si rischia di far tardi per accompagnarli a scuola e poi fiondarsi al lavoro.
La sindrome dei capelli ingestibili. È dal 1973 che in letteratura medica questo problema è stato definito come vera e propria “sindrome dei capelli impettinabili”, che nella versione più acuta è considerata una patologia, per fortuna rara e con stime in ribasso: si contano infatti solo un centinaio di casi documentati, ma spesso si rischia di confondere il disagio con una semplice difficoltà estetica (che dunque non richiede un supporto medico). Per aggiungere un ulteriore elemento di curiosità, annotiamo anche che i tedeschi la definiscono “sindrome di Struwwelpeter”, termine traducibile pressappoco come Pierino Porcospino e che deriva da un libro per bambini di Heinrich Hoffmann.
Prime vittime, i bambini. La sindrome si caratterizza per la presenza di capelli di colore biondo paglierino e con tre elementi particolari: la chioma infatti è al tempo stesso lucente, secca e disordinata, con ciuffi che crescono in direzioni diverse e rifiutano ogni tipo di tentativo di domarli o gestirli a colpi di pettine. Secondo le stime, questo genere di situazione si manifesta soprattutto nei bambini, ma tende poi a svanire con il passaggio all’età adulta.
La mutazione dei geni rende impettinabili i capelli. Ora, però, c’è un elemento nuovo che può anche rilanciare lo studio per la cura di questo problema di capelli: la scienza, infatti, ha scoperto che la causa dei capelli ingestibili deriva dalla mutazione di 3 geni specifici. Grazie infatti alle ricerche di un team di ricercatori dell’Università di Bonn, che hanno poi pubblicato i loro risultati sulla rivista American Journal of Human Genetics, due geni, denominati PADI3 e TGM3, codificano istruzioni per gli enzimi che compongono la chioma, mentre il terzo TCHH è responsabile del trasporto di cheratina, una proteina chiave per il fusto (e dunque la robustezza) del capello. Come spiega uno degli autori dello studio, “dalle mutazioni molto è possibile apprendere sui meccanismi di formazione dei capelli e sul perché compaiano questi disturbi. Allo stesso tempo, siamo in grado di garantire la diagnosi clinica di sindrome di ‘capelli impettinabili’ con i metodi di genetica molecolare”.
Cresce la richiesta di prodotti per l’alopecia. Questa notizia conferma come la scienza medica stia approfondendo sempre più lo studio sulla “testa” umana, concentrandosi in modo particolare sui capelli e sui possibili rimedi ai tanti problemi di cui possono risultare vittime. Non a caso, un recente studio della società Technavio, specializzata nelle ricerche sui trend economici mondiali, rivela che il mercato globale dei farmaci per la cura dell’alopecia è orientato a crescere del 5 per cento entro il 2020.
Le cure per l’alopecia. E dire che questi trattamenti non sono certo i più indicati e definitivi per curare patologie come l’alopecia e, in particolare, la forma definita alopecia androgenetica, che colpisce quasi la totalità delle persone che perdono i capelli. Una migliore cura per questi disturbi arriva proprio dai progressi scientifici, come il trattamento sviluppato dai laboratori di Hairclinic che prende il nome di Protocollo di Rigenerazione Cellulare bSBS, che grazie all’utilizzo delle cellule staminali del paziente riesce a rigenerare il cuoio capelluto senza ricorso alla chirurgia.