In cucina dall’Italia all’Australia con Ada Guglielmino
Trasferirsi da Torino a Fremantle (Perth) in Australia è il sogno realizzato da una famiglia piemontese che, da qualche anno, ha deciso di cambiare professione e di aprire un ristorante tipico italiano, di nome Parlapa [*], agli antipodi dell’Italia. Abbiamo intervistato Ada Guglielmino, una delle titolari, che ci racconta l’esperienza della loro ormai affermata realtà, anche con importanti considerazioni sul settore enogastronomico.
È passato un po’ di tempo dall’inaugurazione del vostro locale. Come procede la vostra avventura australiana?
«Direi molto bene. Stiamo per raggiungere il traguardo dei cinque anni e stiamo valutando anche nuovi progetti. Noi siamo in Western Australia (Australia Occidentale) e in particolare viviamo e abbiamo aperto il nostro Caffè – Trattoria a Fremantle, una cittadina sul mare, con una lunga tradizione di presenza italiana e più in generale europea, quindi è stato anche molto facile integrarsi.
Ormai qui è un melting pot di accenti, a volte sugli autobus capita di ascoltare tre o quattro lingue diverse parlate in contemporanea. Dal punto di vista imprenditoriale, la burocrazia esiste ma è estremamente semplificata, il che consente di non perdere tempo in inutili e controproducenti lungaggini e farraginose procedure, ma di concentrarsi sulla crescita del business o, come nel nostro caso, sullo sviluppo di nuovi progetti, che non rivelo per scaramanzia.»
Trovo molto interessante la scelta di prodotti tipici italiani nei menu da voi proposti. Siete costantemente in contatto con i fornitori italiani o la produzione locale vi permette di reperire le materie prime di cui avete bisogno come validi sostituti dei prodotti originali?
«I locali italiani sono moltissimi, quindi noi non siamo poi così rari. Però molti ristoratori, dopo molti anni, hanno creato una cucina “fusion”, mescolando tradizione italiana, abitudini locali e, in qualche caso, anche spunti da cucine asiatiche. E i risultati a volte sono anche positivamente sorprendenti. Noi per il momento restiamo sui classici della cucina italiana e piemontese, anche perché – solo con qualche eccezione -, i prodotti italiani ci sono tutti, e in qualche caso, per esempio le mozzarelle, arrivano prodotti freschi dall’Italia anche due volte a settimana.
In generale noi cerchiamo di utilizzare i produttori locali per i prodotti freschi, e ci affidiamo a due importatori italiani per i prodotti che richiedono una certificazione o una origine controllata autenticamente italiana: per esempio i Prosciutti di Parma o San Daniele o il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. Usiamo anche alcuni tipi di farine italiane per la pasta fresca e solo Pasta di Gragnano per i piatti che richiedono pasta essiccata. Il nostro olio è italiano, anche se qui ci sono vari Oli extravergine di oliva.»
Sappiamo che il cibo italiano è un vanto in tutto il mondo. Nello specifico, qual è il riscontro quotidiano che avete dalla vostra clientela autoctona?
«Noi abbiamo una clientela equamente ripartita tra italiani e australiani. La risposta è positiva da parte di entrambi. Gli italiani perché ritrovano sapori che ricordano “casa”, gli australiani perché ormai viaggiano molto e l’Italia è una delle mete privilegiate del turismo, e quindi sono “educati” a un cibo di qualità.
Infatti, per assurdo si lamentano, a volte, della sciatteria di certi ristoratori italiani, mentre sanno riconoscere la qualità, certamente più di 10 o 20 anni fa. E questo è ovviamente premiante per chi lavora con standard alti o, come mi piace sottolineare, con il rispetto per quello che per noi, prima di essere un cliente, è un ospite.»
Parliamo nello specifico di mercato australiano. Credete che punti molto sul settore enogastronomico o potrebbe migliorare qualcosa nei confronti dei ristoratori?
«Posso parlare del Western Australia anche se credo che quello che succede qui si possa applicare anche nel resto dell’Australia. Il settore è molto dinamico, con continue aperture di nuovi locali, nuove proposte, nuovi format. Questo per il settore cibo.
Per quanto riguarda il vino, qui ce ne sono di ottimi. A circa 300 chilometri da Perth c’è un’area con piccoli produttori che continuano da anni a lavorare per produrre vini di qualità. Tutti gli alcolici sono costosi e ottenere la licenza per la somministrazione e la vendita è molto difficile, lungo e costoso. Noi per esempio utilizziamo la formula BYO (Bring Your Own): il cliente si porta una bottiglia di vino e noi forniamo bicchieri idonei e applichiamo una piccola tariffa, il corkage, qui comune in molti ristoranti.
L’industria enogastronomica è una voce importante perché in un sistema che sostiene e valorizza la piccola imprenditoria, anche il piccolo locale come il nostro trova un suo spazio. Anche qui, come ormai nel mondo, ci sono i talent (Masterchef è nato qui in Australia, non dimentichiamolo) e in tv a ogni ora c’è qualcuno che cucina, così tutti si sentono un po’ chef ed esperti. Ma siamo noi a dover recepire i cambiamenti e adattarci al mercato. Finora questo approccio per noi ha funzionato.»
[*] parlapà (parla pà) – \ parlap’a \ in piemontese è una esclamazione che significa “caspita!”. Letteralmente “non parlare” (imperativo).
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