10 domande che (forse) non hai mai osato chiedere a uno psicoterapeuta
Quante cose avresti voluto chiedere a uno psicologo, uno psicoterapeuta, ma per timidezza, vergogna, o dimenticanza non hai mai potuto fare direttamente? Magari ne abbiamo parlato con un amico, senza avere una risposta certa. Non tutti però se le tengono per sé. Ecco quelle che mi sono state poste durante i miei 15 anni di attività come psicoterapeuta a Torino. Hai altre domande? Inviale alla email redazione@clinicaebenessere.it
1. Gli posso chiedere come sta?
Certo è educato chiederlo e molto probabilmente lo si fa anche sinceramente vista la relazione che si è instaurata, ma questa domanda, visto il contesto, può mettere in difficoltà lo psicoterapeuta, vediamo perché. Innanzitutto bisogna pensare che la relazione che si instaura durante la psicoterapia è una relazione d’aiuto dove lo psicoterapeuta ha acquisito delle competenze sul funzionamento della mente, che mette a disposizione del paziente al fine di migliorare il suo stato di salute mentale. Il terapeuta nel rispondere deve chiedersi se quel particolare paziente sapendo che non sta bene (mal di testa, dormito poco ecc) potrebbe, in base alla propria storia di vita, cominciare lui ad accudire il terapeuta e la cosa non sarebbe opportuna. Certo rispondere sempre che si sta bene può risultare poco veritiero e mettere in dubbio la relazione di fiducia costruita. A conti fatti forse è meglio essere sinceri rispetto a possibili malanni fisici e soprassedere rispetto a quelli emotivi. Si può comunque stare tranquilli che il terapeuta sa da chi farsi aiutare in caso di necessità e non c’è bisogno che lo faccia il paziente.
2. Se lo incontro per strada lo posso salutare?
Per rispetto della privacy il terapeuta se vi incontra al di fuori dello studio vi ignora, a meno che non venga salutato per primo dal paziente. Questo serve ad evitare che qualcuno che è col paziente chieda chi lo abbia salutato mettendolo in difficoltà sulla privacy. Va detto che anche il terapeuta potrebbe non essere solo e che per rispettare il segreto professionale preferisca non essere salutato, per non dover mentire su chi lo saluta. Insomma è meglio mettersi d’accordo prima. Per esperienza, paziente e terapeuta si possono incontrare in svariati posti: sul pullman, per strada, a ballare e persino alle isole Azzorre come è capitato a me.
3. Perché alcuni psicoterapeuti hanno il lettino e altri no?
Dipende dalla scuola di specializzazione che hanno scelto. Di solito chi non è psicoanalista non lo usa
4. È vero che anche lo psicoterapeuta ha avuto una brutta infanzia, se no non farebbe lo psicoterapeuta?
Non per forza. Non c’è bisogno di aver fatto le stesse esperienze del paziente per poter empatizzare con lui e aiutarlo. Se così fosse io sarei dovuta essere violentata dal bagnino, avere un figlio morto o il cancro, almeno un/a fratello/sorella minore e chi più ne ha più ne metta. Certo nella vita “ce n’è per tutti” per cui vi potrà offrire empatia cognitiva se riesce a immaginare come vi sentiate, o emotiva se anche a lui è capitato di provare quei vissuti
5. Lo psicoterapeuta va dallo psicoterapeuta?
Non tutti, ma sarebbe meglio che tutti lo facessero prima di cominciare la professione. Lo psicoterapeuta usa la propria mente e il proprio modo di stare in relazione per esser d’aiuto, quindi è meglio che conosca i propri meccanismi di funzionamento e abbia risolto le proprie difficoltà per non portarli in modo inconscio nella terapia
6. Il segreto professionale viene rispettato davvero?
Siamo vincolati al segreto professionale, non confessionale. Questo significa che vi verrà chiesto il consenso a parlare con altri medici e psicologi in caso di necessità con lo scopo di aiutarvi meglio, ma lo farà mantenendo l’anonimato, ovvero non rivelando nome e cognome o informazioni che vi facciano identificare facilmente. Per esempio non andrà a dire che ha un nome molto insolito e una gamba sola, a meno che non serva per inquadrare correttamente la situazione e migliorare l’intervento. Comunque sono tutti professionisti che devono ottemperare al segreto professionale
7. Lo psicoterapeuta è sempre di aiuto?
No, a volte non è sufficientemente preparato e il suo aiuto può arrivare fino ad un certo punto. Su alcuni disturbi, come quelli alimentari, sessuali, ossessivi e dissociativi, è secondo me molto importante cercare un terapeuta formato in questi ambiti. Se no si rischiano terapie molto lunghe e il mancato ritorno dell’investimento monetario
8. È vero che i pazienti si innamorato del loro analista?
A me in 15 anni non è capitato, però può succedere. Avere una persona che dà le attenzioni solo a te per un’oretta, e si relaziona come non han fatto gli altri fino ad ora, può far innamorare. È importante dirlo e lavorarci insieme
9. Come fanno gli psicologi a non dare consigli o dire ai pazienti le ovvietà che notano e lui non vede?
Di solito ci viene insegnato che è il paziente che deve trovare le sue soluzioni, che potrebbe anche non trovare mai. Sinceramente penso che se so qualcosa che può essere utile, io la propongo, poi sarà lui a scegliere cosa fare. Qualche volta mi son ritrovata a dire delle ovvietà. È incredibile come presi dai propri pensieri si possa girare a vuoto e perdersi in un bicchier d’acqua. Questo vale anche per me
10. Infine quella che mi è stata fatta di più in assoluto. Come fanno gli psicologi a sentire tutte quelle cose brutte e a stare bene?
Raramente capita la persona che sta male per tutta la seduta. Sicuramente vengono condivise esperienze ed emozioni spiacevoli, talvolta molto dolorose, ma anche risate e chiacchiere. Ciò alleggerisce entrambi. Il terapeuta sa empatizzare, ma non si identifica con l’altro: la sofferenza dell’altro non diventa la sua. Comunque in caso di bisogno parla con i colleghi e il supervisore.
Dr.ssa Luigina Pugno – Psicoterapeuta e sessuologa a Torino
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